mercoledì 7 dicembre 2011

L. Venturi e l’impressionismo secondo Laura Iamurri


Vi segnalavo QUI la giornata di studi organizzata a Perugia in occasione del cinquantennale della scomparsa di Lionello Venturi.

In questo articolo vi parlerò di un’altra ottima iniziativa, datata all’ aprile di quest’anno, che permette di tener desta l’attenzione nei confronti della lezione e dell’opera del grande storico dell’arte: Lionello Venturi e la modernità dell’impressionismo è il titolo del volume scritto da Laura Iamurri e pubblicato da Quodlibet, di cui vi propongo la recensione.




Lionello Venturi
                                                                        
                                                                        

Il titolo del volume può sembrare alquanto ingannevole; nel senso che l’autrice propone un percorso che, pur avendo nel rapporto dello studioso con l’impressionismo il momento centrale, è molto più ampio, in quanto comprende una puntuale e approfondita rassegna sui fatti culturali della Parigi degli anni ’30 del novecento, quella in cui Venturi si trova ad agire dopo che il rifiuto di prestare il giuramento di fedeltà al fascismo lo costrinse all’esilio.

Così i primi due capitoli del libro sono dedicati al mondo delle riviste e del mercato, e al più generale contesto di ritorno all’ordine in cui la storia dell’arte contemporanea francese viene riletta in chiave nazionalistica e legata alla tradizione della pittura prodotta in Francia nei secoli precedenti.

L’impressionismo è, di questa situazione, la vittima designata, per la sua irriducibilità a qualsiasi lettura tradizionalista.
Questi due capitoli sono dunque necessari perché ci fanno capire il contesto in cui l’intellettuale italiano si trova ad agire, e ci rende ben coscienti dell’importanza dei suoi studi, per tanti e determinanti versi controcorrente.

Controcorrente perché, a fronte di una rivalutazione del Renoir classicista degli anni ’80, Venturi ribadisce che quella <<[…]fu una crisi, non un progresso, come alcuni critici recenti, in nome del classicismo, proclamano […] Prendendo a prestito motivi non suoi, insistendo su forme scultoree idealizzate, moltiplicando schizzi, abbozzi e disegni finiti, Renoir ha fatto con le Baigneuses del 1885 la dimostrazione della vanità dei suoi sforzi per entrare in un mondo che gli era estraneo>>. Esplicito, in questo passaggio, la polemica contro i classicismi dei ritorni all’ordine, e la conseguente rivendicazione dell’impressionismo come fatto positivo.

Stesso dicasi per la lettura venturiana dell’opera di Cézanne.

Contraddicendo risolutamente la critica di quegli anni, Venturi riallaccia i fili che collegano l’opera del Maestro di Aix a quella degli impressionisti (Pisarro in primis): <<Cézanne ricostruiva a modo suo un mondo della forma, senza nulla rinunziare delle conquiste artistiche impressionistiche>>. Il merito di Venturi, precisa Nello Ponente, è quindi quello di aver <<sottratto Cézanne alle false o devianti interpretazioni, ha smentito il Cézanne restauratore, contro l’impressionismo, di un ordone classico>> [1].


P. A. Renoir, Bagnanti, 1885 [2]


Come dicevo, il percorso tracciato dalla Iamurri riguarda il Venturi francese, e dunque l’insieme di opere che vanno dagli articoli apparsi su L’Arte nel ’32 fino allo scritto su Pisarro del’39: le stazioni fondamentali del percorso sono opere magistrali come il catalogo ragionato dell’opera di Cézanne,la Storia della critica d’arte e Les Archives de l’Impressionisme, titoli con cui lo studioso realizza il suo capolavoro metodologico, essenziale per la definizione dei compiti della disciplina storico artistica: l’arte contemporanea viene per la prima volta studiata con la serietà e la complessità che la storia dell’arte aveva concesso all’arte del passato.

Sono i metodi della connoisseurship e dell’analisi filologicamente fondata delle fonti e delle testimonianze degli e sugli artisti che Venturi mette in campo; scrive la Iamurri, che quello della connoisseurship è una consuetudine degli studi storico artistici <<che Venturi rinnova spostandola sul terreno della pittura moderna>>, <<in una prospettiva storica e metodologica di ampio respiro che non esclude, in linea di principio, la contemporaneità>>. Il catalogo dell’opera di Cézanne quindi <<appare come l’approdo esemplare dell’intenzione critica di Venturi: trattare Cézanne con gli strumenti della filologia e della connoisseurship equivaleva ad inserirlo di diritto nella “storia vera”, e ad indicare la strada per uno studio dell’arte moderna condotta “con la disciplina dello storico dell’arte”>>.

D’altronde, nella Storia della critica d’arte, autentico capolavoro venturiano, lo studioso non aveva proclamato la necessità per la disciplina di andare di pari passo con gli sviluppi artistici della propria contemporaneità? Non aveva concluso che <<la coscienza dell’arte attuale è la base di ogni storia dell’arte passata>>, rendendo così omaggio a Baudelaire e alla critica francese dell’ottocento contro il neoclassicismo tutto rivolto a un passato idealizzato di Winckelmann?

Così la Storia, per tanti versi summa del pensiero metodologico venturiano, si presenta come il sottofondo costante delle ricerche mature sull’impressionismo: non è un caso che la sua data di uscita, il 1936, coincida fatalmente con quella del catalogo cézanniano.

E così la lettura dell’impressionismo si svolge con una attenzione costante alla situazione dell’arte e del sistema dell’arte francesi degli anni ’30 (temi su cui l’autrice ritorna più volte nel corso del volume) ; curiose e numerose le idiosincrasie di Venturi: a fronte di una valutazione positiva del Picasso del periodo blu assistiamo a una svalutazione dell’esperienza cubista; e se Modigliani e Roualt (a cui lo studioso dedica un volume nel ’40) erano tenuti in gran considerazione, al contrario l’ultimo Monet rimane essenzialmente non capito dallo studioso.

E la situazione politica e sociale di un’ Europa stretta nella morsa del nazi-fascismo e a un passo dalla guerra, non poteva lasciare indifferente un intellettuale come Venturi; come è noto, la polemica contro i neoclassicismi e i ritorni all’ordine in favore dell’impressionismo nasce in lui come reazione al sistema culturale promosso dalla retorica fascista: Il gusto dei primitivi, del 1926, è testo esemplare che mostra quanto il coinvolgimento nelle questioni dell’arte contemporanea e della politica siano precedenti all’esilio francese- e qui aggiungo che, se c’è una critica che si può avanzare al lavoro della Iamussi, riguarda proprio la scarsa attenzione a quest’opera la cui importanza esce da queste pagine notevolmente sminuita (Ponente parla de Il gusto dei primitivi come di <<un libro capitale per la cultura italiana ed europea>>[3]).

Per tornare alla questione del “problema” politico, l’autrice conclude: <<la nuova sensibilità di Venturi per gli aspetti sociali della storia dell’impressionismo sia da intendere come il riflesso di un passaggio importante nell’esperienza politica dello studioso, maturato all’interno di Giustizia e Libertà, a contatto con il variegato mondo dei “fuorusciti”>> -esemplare in questo senso l’innovativa ricerca svolta sull’attività e la personalità di Durand-Ruel.

Per concludere, non mi resta che consigliare la lettura di questo volume.

Un volume chiaro nella sua complessità, ricco di informazioni sull’attività di Venturi e i rapporti con altri grandi nomi della storia della critica d’arte (il padre Adolofo, Henry Focillon, Bernard Berenson e John Rewald); stimolante sia per gli studiosi dell’arte contemporanea che per coloro interessati alla ricostruzione della storia della critica d’arte, di cui Venturi è punto imprescindibile.





                                 Laura Iamurri, Lionello Venturi e la modernità dell’impressionismo
                                 Quodilbet 2011
                                 200 pagine
                                 22 euro





[1] Cézanne e le avanguardie, a cura di Nello Ponente, Officina Edizioni 1981
[2] John Rewald, nella sua fondamentale Storia dell’impressionismo (Mondadori 1976) sposta l datazione dell’opera al 1887
[3] Cézanne e le avanguardie (vedi nota 1)


di Mario Cobuzzi

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