domenica 13 novembre 2011

Panofsky e il Rinascimento allargato



L’immagine insepolta[1] di Georges Didi- Huberman, oltre ad essere un caposaldo imprescindibile
della letteratura su Aby Warburg è anche, tra le tante cose, un atto d’accusa mosso contro Erwin
Panofsky ed Ernst Gombrich, colpevoli agli occhi dell’autore di non aver compreso a fondo
e di aver impoverito i concetti warburghani fondamentali, in primis quello di Sopravvivenza.
(L’esorcismo del Nachleben: Gombrich e Panofsky
, è l’esplicito titolo dell’ottavo capitolo della
prima parte del volume).
E’ Panofsky in particolare “il grande esorcista”, colui che riduce il tema della sopravvivenza a
semplice problematica di influenza, che esclude dal Rinascimento tutti i tumulti e le contraddizioni
rilevati da Warburg; il Rinascimento (ri)diventa nelle sue manì l’età dell’oro, il periodo dell’ “acme
artistico, di autentica archeologia e, quindi, di purezza stilistica”.
Didi-Huberman rileva, negli scritti panofskyani, addirittura una ripresa diretta dell’idealismo di
Vasari e Winckelmann.
E’ davvero questa l’idea di Rinascimento del sistematizzatore dell’ Iconologia? Anche Salvatore
Settis sembrerebbe d’accordo: il processo della Storia nell’ottica di Panofsky culmina in un happy
end
[2], quello rinascimentale, per l’appunto.




Qualche mese fa Abscondida ha ripubblicato il volume- curato da Irving Lavin- con i Tre saggi
sullo stile
[3]. Il primo è uno scritto sul Barocco del 1934 che Panofsky non aveva mai voluto
pubblicare.
Perché mi sembra così importante questo saggio denigrato più volte, per vari motivi, dal suo stesso
autore? Perchè, nella parte conclusiva, sembra contraddire tutto quello che Didi- Huberman contesta: il Rinascimento come “età dell’oro”, Panofsky come “neo- Vasari”. La fondamentale conseguenza è che le carte vengono a scompigliarsi: quello che credevamo certo del discorso storico panofskyano in realtà non lo è affatto.
E oltre a questo, il Nostro propone una visione del rapporto tra Rinascimento e Barocco quanto mai interessante e sicuramente inusuale.
Lascio la parola all’imputato.
“Lo stesso Rinascimento, fondato sulla ripresa della classicità e su un naturalismo che nulla aveva di classico, accentuando tali tendenze entro l’ambito di una cultura essenzialmente cristiana, era approdato a uno stile che, pur con tutti i suoi innegabili meriti, rivela un certo dissidio interno”.
Ecco dunque i termini del problema: classicità, naturalismo anticlassico, e cristianesimo, che
formano un insieme complesso e contradditorio (il che, a dispetto delle accuse di Didi-Huberman, rende l’idea panofskyana di Rinascimento non così lontana da quella di Warburg ).
E’ vero, aggiunge Panofsky, che “lo stile del pieno Rinascimento di Leonardo e Raffaello è una
splendida riconciliazione di queste tendenze contradditorie”, ma è altrettanto vero che si tratta di
casi isolati, di soluzioni non sistematiche che rimangono all’interno di una cultura che il dissidio lo
vive senza risolverlo.



Tocca dunque al Barocco risolvere il dissidio, poiché esso “è l’unica fase della civiltà
rinascimentale in cui vengono superati i conflitti che la agitano, non rimuovendoli (come nel
classicismo cinquecentesco), ma prendendone coscienza e trasformandoli in un’energia emozionale soggettiva”.
Abbiamo in questo passaggio due conclusioni fondamentali: se “età dell’oro” c’è stata, essa non si svolge nel quattrocento e nel cinquecento, ma nel seicento barocco. E, fatto non meno importante, il Barocco non nasce come reazione al Rinascimento, ma si presenta come “il suo secondo grande apogeo”.
Panofsky, insomma, giunge a due conclusioni inaspettate se non addirittura innovative.
E non si ferma qui: v’è un’ultima conclusione non meno inaspettata e non meno innovativa: “Il Rinascimento, se lo intendiamo […] come una delle tre grandi fasi della storia umana, […] terminò molto dopo la fine del Cinquecento, all’incirca all’epoca in cui morì Goethe e vennero costruite le
prime industrie”.

Per concludere, ritorno a quanto dicevo all’inizio: questo saggio, oltre a proporre un’idea insolita
del rapporto tra Rinascimento e Barocco, e una considerazione quanto mai allargata della nozione
stessa di Rinascimento, ha un’importanza notevole perché viene a portare l’incerto in quel che si
credeva certo, a rendere più problematica la ricostruzione e la valutazione del pensiero di Panofsky.
Una sua lettura è insomma indispensabile, per questi e altri motivi che qui tralascio.

[1] Bollati Boringhieri, 2006
[2] Riportato da C. Cieri Via in "Nei dettagli nascosto" (Carocci 2009)
[3] Abscondida, 2011


di Mario Cobuzzi

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