martedì 20 dicembre 2011

Meyer Schapiro: lo Stile


Style è uno dei saggi più famosi di Meyer Schapiro1, storico dell’arte lituano di nascita e americano d’adozione, noto per i suoi studi sull’arte medievale e contemporanea, sicuramente inseribile nel pantheon della grande critica d’arte.




Saggio breve e di lettura piuttosto semplice, per chi ha confidenza con la disciplina storico artistica.

Saggio manualistico e di taglio storico: l’autore non ha teorie da esporre, o novità metodologiche da mettere in mostra, ma presenta una rassegna più o meno esaustiva del dibattito critico avutosi intorno al concetto di Stile – se Schapiro, tra i tanti temi possibili, sceglie proprio questo è perché siamo di fronte a quello che è probabilmente il concetto-guida della storia dell’arte in quanto disciplina scientifica: <<Lo stile- la “visibilità” delle arti visive- è il problema centrale che legittima la storia dell’arte come campo di ricerca autonomo>>, scrive Irving Lavin2.

Una lettura quanto meno istruttiva, insomma; sicuramente necessaria, come necessarie sono le letture dei buoni manuali.

Eppure bisogna ammettere che un senso di amarezza, a lettura terminata, un po’ rimane, specie se si conoscono altre opere di Schapiro: perché qui può sembrare che la complessità e la componente altamente stimolante tipiche dei suoi scritti non ci siano; restano la competenza e la lucidità di esposizione, ma nient’altro o quasi.

Ma andiamo con ordine.

<<Per “stile” si intende la forma costante- e talvolta gli elementi, la qualità e l’espressione costanti- dell’arte di un individuo o di un gruppo>>; è così che Schapiro apre il suo saggio, con una definizione netta e precisa, che non lascia spazio ad equivoci.

Poco più avanti aggiunge:<<Ma lo stile è soprattutto un sistema di forme dotato di una qualità e di un’espressione portatrice di significato, che permette di riconoscere la personalità dell’artista e la visione del mondo di un gruppo>>; mi sembra che in questo passaggio lo studioso riveli l’ascendenza della tradizione iconologica sulla propria formazione di studioso; lo stile come rivelatore della <<visione del mondo di un gruppo>> lascierebbe pensare alla nozione panofskyana di forma simbolica.

Inoltre quello dello stile si presenta come concetto qualitativo, che decide della maturità raggiunta dall’arte di un periodo e dalla stessa cultura che l’ha prodotta, specie se più arti differenti presentano tratti stilistici comuni, in quanto <<indizio dell’integrazione di una cultura e dell’intensità di un momento di forte creatività>>; viceversa l’eventuale mancanza di stile determina un giudizio negativo: debolezza e decadenza di un dato periodo artistico e socio-culturale.

Il presupposto di questa concezione è che in un dato periodo storico ci possa essere un solo stile, preciso e chiaramente identificabile; da tutto ciò Schapiro prende le distanze (e lo fa in più punti del saggio, quando per esempio difende la pluralità di stili dell’epoca contemporanea in quanto conquista insostituibile): i principi di anticipazione, fusione e continuità (e quindi di una generale costanza) sono quelli che maggiormente caratterizzano lo sviluppo degli stili: non che non esistano nella storia dell’arte rotture brusche e determinanti, ma più spesso <<limiti precisi vengono fissati per convenzione […] Il singolo nome attribuito allo stile di un periodo raramente corrisponde a una caratterizzazione chiara e universalmente accettabile di un tipo>>. Determinante è quindi la coscienza che lo stile può non essere uniforme: bisogna considerarne <<l’aspetto non omogeneo, instabile, le tendenze oscure verso forme nuove>>, caratteristiche che mettono in discussione l’idea di unità dello stile nelle sue applicazioni nei vari medium artistici.

Dopo aver ribadito l’importanza dello studio dell’arte contemporanea per la comprensione dell’arte del passato e per la nuova considerazione, da essa derivata, di prodotti artistici prima denigrati se non proprio inconsiderati (arti primitive, infantili, psicotiche), lo studioso propone una rapida rassegna degli schemi di sviluppo e successione per come sono stati prodotti dalla critica formalista: sono i nomi di Riegl e Wölfflin insieme a quelli meno noti di Frankl e Löwy a riempire le pagine centrali del saggio. Fatto curioso: uno studioso comunemente considerato anti formalista si sofferma lungamente su teorie formaliste e dimentica di analizzare nello specifico gli studi iconologici e sociologici.

Non che manchi, a dire il vero, l’accenno alle teorie contenutistiche e sociologiche; a queste ultime è riservata la chiusura del saggio, che è anche una critica diretta alle teorie artistiche di Marx; alle prime invece imputa una superficialità di fondo: <<Il rapporto fra contenuto e stile è più complesso di quanto sembri da questa teoria>>, e soprattutto <<i tentativi di desumere lo stile dal pensiero sono spesso troppo vaghi per produrre altro che intuizioni suggestive; il metodo genera speculazioni analogiche che non reggono a uno studio critico dettagliato>>; Schapiro, da ciò, trae una conclusione importante: <<Ma spesso il contenuto dell’opera d’arte appartiene a una regione dell’esperienza diversa da quella in cui si sono formati sia lo stile dell’epoca sia il modo di pensare dominante>>.

Insomma, di questa complessa storia di teorie e metodi applicati allo studio dell’arte, Schapiro propone un bilancio che ne valuta insieme i meriti e le insufficienze; si potrebbe pensare a una sorta di atteggiamento moderato che porta ad accettare “di tutto un po’ ”,e a condannare “di tutto un po’ ”.

Ma in definitiva, sulla questione dello stile, qual’è l’opinione di Schapiro? E qual’è il suo metodo ?

Per rispondere alla prima domanda, non rimane che tornare all’apertura del saggio, a quella formula che ho citato per intero all’inizio e che, a mio avviso, sarebbe da imparare a memoria tanto è giusta.

La seconda domanda, invece, esige una risposta che deve portarci fuori e dentro Style.

Dentro. E’ nella pluralità di metodi che, secondo me, consiste il metodo di Shapiro; un metodo che però non accoglie tutto indistintamente, ma che anzi di ogni approccio propone una verifica e una revisione che lo depuri dagli eventuali errori- questo mi sembra essere uno degli elementi costituitivi di Style in quanto analisi e valutazione storica.

Fuori. Siamo dunque davanti a un concerto depurato, organizzato e armonico di metodologie (e questo non significa che si debba sempre essere d’accordo su tutto).

Perché è’ proprio vero che Meyer Schapiro è uno storico dell’arte atipico3 e multiforme, capace di passare e spesso di fondere insieme raffinate analisi formali ( il capolavoro- nonché ultima opera-L’impressionismo- riflessi e percezioni4), sociologiche (il celebre Natura dell’arte astratta5, esordio dello studioso nel campo dell’arte contemporanea), psicologiche (l’altrettanto celebre Le mele di Cézanne6), senza contare le fondamentali aperture alla semiologia (Parole e immagini7).

Ma appunto l’applicazione di tutta questa ricchezza metodologica e di approcci non è da ricercare specificamente in Style; l’errore che si potrebbe commettere è di cercare qualcosa nel posto sbagliato: qui, quella che ci viene offerta è una via sicura, chiara, precisa, per cominciare l’avvicinamento a quella che per molti versi è (o comunque è sicuramente stata, come appunto dimostrano le pagine schapiriane) la meta ultima della storia dell’arte in quanto disciplina scientifica: la comprensione e definizione di quello che per Gombrich era l’enigma per eccellenza, l’enigma dello stile.




1 L’edizione a cui farò riferimento è quella di Donzelli Editore (1995) con una bella introduzione di Francesco Abbate.

2 I.Lavin,L’umorismo di Panofsky- in Erwin Panofsky, Tre saggi sullo stile, Abscondita 2011

3 C. Cieri Via, Nei dettagli nascosto, Carocci

4 Einaudi 2008

5 Ripubblicato in Alle origini dell’opera d’arte contemporanea,a cura di G.DI Giacomo e C.Zambianchi, Laterza 2008

6 In M.Schapiro, L’arte moderna, Einaudi 1986

7 M.Schapiro, Per una semiotica del linguaggio visivo, Meltemi 2002


                                                                                                                                         Di Mario Cobuzzi

Nessun commento:

Posta un commento